Codici: si chiude la class action su Sixthcontinent
La class action per la vicenda Sixthcontinent è chiusa.
L’annuncio arriva dall’associazione Codici all’indomani dell’ordinanza con cui il Tribunale di Milano ha dichiarato inammissibile l’iniziativa nei confronti di Sixthcontinent Factory Srl, in liquidazione giudiziale, e Sixthcontinent Europe Srl. Parliamo di una vicenda che ha fatto molto discutere per via dell’importante campagna di comunicazione che ha visto protagonista il social commerce. L’attività promossa si basava sulla possibilità di accumulare crediti facendo acquisti con shopping card, tra beni di prima necessità e prodotti tecnologici, per poi riutilizzarli per altre spese sulla piattaforma. Il problema è che questi vantaggi per molti clienti non si sono concretizzati, anzi si sono ritrovati con i crediti inutilizzabili e gli account bloccati, di fatto perdendo i propri risparmi.
“Abbiamo intrapreso questa azione legale – dichiara Ivano Giacomelli, Segretario Nazionale di Codici – perché convinti che le società hanno attuato una pratica commerciale ingannevole, scorretta ed illecita. Abbiamo raccolto migliaia di segnalazioni, in aula abbiamo dato voce ad oltre 500 consumatori che hanno aderito alla class action ed in questi anni ci siamo battuti per ottenere il risarcimento ed il rimborso per i clienti Sixthcontinent che hanno investito i propri soldi in una piattaforma che, per le sue condotte, è stata sanzionata per ben tre volte dall’Antitrust. Tra il 2020 ed il 2021 sono arrivate multe per un totale di 8 milioni di euro per pratica commerciale scorretta, per violazione del provvedimento cautelare con cui l’Autorità aveva disposto la sospensione provvisoria delle attività per bloccare gli account dei consumatori in assenza di rimborso e per aver reiterato le irregolarità punite con la prima sanzione. Le multe sono divenute tutte definitive, in quanto il Tar del Lazio ha bocciato i ricorsi presentati di volta in volta dalla società, che abbiamo contestato con successo in aula. Il percorso è stato lungo e difficoltoso, gli ostacoli sono stati tanti e nel frattempo la società è stata posta in liquidazione giudiziale, anche alla luce della richiesta che abbiamo avanzato a nome degli aderenti della class action, che rischiano di essere estromessi dall’azione. Proprio per salvaguardare i loro diritti, abbiamo presentato domanda di insinuazione al passivo in relazione al fallimento della società ed il Tribunale ha ammesso le istanze. Lo stesso Tribunale, però, proprio alla luce del nuovo capitolo che si è aperto in questa vicenda, ha dichiarato inammissibile la class action in quanto tutta la vicenda ormai deve essere assorbita dal giudice della liquidazione giudiziale. Di fatto solo chi ha presentato istanza di ammissione al passivo potrebbe ancora avere qualche possibilità di tutela. Una decisione che ci amareggia profondamente. Ancora una volta dobbiamo prendere atto dell’orientamento dei giudici di Milano, che affossano le azioni collettive. Sospendendo quattro anni fa la class action, il Tribunale ha permesso all’impresa di scappare. La critica che muoviamo ai giudici di Milano non è per l’inammissibilità dell’azione di classe, che tecnicamente potrebbe essere opinabile ma sicuramente motivata, ma per la sospensione dei procedimenti anche quando non ve ne siano tutte le ragioni o i presupposti. Parliamo di sospensioni che vengono giustificate dalla pendenza dei giudizi amministrativi avverso le sanzioni dell’Antitrust. Diventa così gioco facile per le aziende sottrarsi all’efficacia dell’azione di classe, proponendo ricorsi in sede amministrativa con cui riescono a congelare il giudizio civile per cinque o sei anni, un tempo assolutamente prezioso che sfruttano, come in questo caso, per ‘scomparire’. Di fronte a quanto successo, che, lo ribadiamo, è stato certificato dall’Antitrust con ben tre sanzioni milionarie e confermato dal Tar del Lazio con le bocciature dei ricorsi di Sixthcontinent, i consumatori meritavano ben altro trattamento, ovvero l’avvio della class action con il riconoscimento di risarcimenti e rimborsi per quanto accaduto”.