Codici: tagliare la sanità per finanziare le armi è un errore storico
Nel dibattito sempre più acceso sull’aumento della spesa militare fino al 5% del PIL, l’associazione Codici denuncia con forza che la sanità pubblica sarà, con ogni probabilità, il settore più duramente colpito da questa scelta politica.
L’ipotesi di destinare circa 73 miliardi di euro in più ogni anno alla spesa militare comporterà, se non accompagnata da un aumento delle tasse, una drastica riduzione del finanziamento al Servizio Sanitario Nazionale.
“Secondo le nostre stime – afferma Ivano Giacomelli, Segretario Nazionale di Codici –, il definanziamento potrebbe aggirarsi tra i 15 e i 20 miliardi di euro annui. Questo colpo si sommerebbe ai già pesanti tagli previsti nel periodo 2023–2029, pari a quasi 40 miliardi, determinando un progressivo smantellamento del sistema sanitario universale italiano. Le conseguenze sarebbero devastanti: ci troveremmo di fronte a una sanità con meno ospedali aperti, reparti accorpati o chiusi, servizi territoriali sempre più deboli e personale sanitario insufficiente. Le liste d’attesa, già oggi insostenibili in molte regioni, si allungherebbero ulteriormente, rendendo impossibile per milioni di cittadini accedere a visite, diagnosi e cure in tempi utili. Molti professionisti, di fronte al blocco delle assunzioni e all’assenza di risorse, potrebbero abbandonare il settore pubblico o cercare opportunità all’estero, aggravando ancora di più la carenza strutturale di medici e infermieri. Non solo. La riduzione dei servizi pubblici costringerà sempre più famiglie a rivolgersi alla sanità privata, generando un’ondata di spesa sanitaria ‘di tasca propria’ che già oggi supera i 41 miliardi di euro all’anno. Questo fenomeno avrà un effetto inflazionistico diretto: aumenteranno i costi di visite specialistiche, esami diagnostici e farmaci, con una ricaduta stimata fino a un +2% annuo sui beni e servizi sanitari. Le fasce più fragili della popolazione, come anziani, disoccupati e famiglie a basso reddito, saranno le più penalizzate. Questa non è una politica di protezione, è una scelta ideologica e geopolitica che ci spinge verso logiche di confronto armato e militarizzazione permanente. E lo fa a spese della salute, dell’istruzione e del sostegno ai più deboli”.




