Cambiamenti climatici e sanità

L’attività antropica e il suo impatto sull'ambiente naturale ha generato come deleteria conseguenza degrado del territorio, l'alterazione della capacità degli ecosistemi di assorbire o contenere gli agenti patogeni e virali con un incremento delle zoonosi, ovvero delle trasmissioni tra gli animali e l’uomo.
Tale relazione non è mai stata sufficientemente evidenziata ed approfondita nei vari documenti o seminari inerenti lo sviluppo sostenibile.
La rimozione dei naturali filtri, come ad es. le foreste, tra l’ambiente urbano in continua espansione e la natura, congiuntamente con la crescita demografica, le trasformazioni degli ecosistemi e le conseguenti modifiche della struttura della biodiversità indotte dai cambiamenti climatici, hanno ridotto l’abitabilità di ampie parti del pianeta e, conseguentemente, la sopravvivenza degli esseri umani.
Tra le cause della diffusione di malattie infettive emergenti, come: l’ebola, la febbre emorragica di Marburg, la SARS, la MERS, la febbre della Rift Valley, la Zika e l’attuale pandemia SARS-Cov-2, infatti, vi sono fattori importanti come la perdita di habitat, la creazione di ambienti artificiali, la crisi climatica, la manipolazione e il commercio di animali selvatici e la distruzione della biodiversità.
Va sottolineato che i virus, facilitati dalla distruzione degli ecosistemi e dal riscaldamento globale, dall’inquinamento e dall’aumento della popolazione, si propagano in nuovi spazi con nuove prospettive di sviluppo. Le periferie degradate e senza verde di tante metropoli rappresentano l'habitat ideale per la diffusione di malattie pericolose come, ad esempio, la febbre dengue, il tifo, il colera e la chikungunya.
Dall’Agenda 21 di Rio del 1992 fino ai 17 obiettivi, cd. “goal”, dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite del 2015, molti sono stati gli approcci proposti per la sostenibilità delle città, con esiti però insoddisfacenti in quanto gli obiettivi erano troppo numerosi, le indicazioni di priorità ambientali non erano presenti, le scelte erano basate prevalentemente sugli sviluppi di tecnologie informatiche o su altri aspetti rilevanti, ma insufficienti. Nel dettaglio, non si rilevava un approccio in grado di rilanciare le priorità inerenti la qualità ecologica, la sostenibilità e la resilienza delle città, alla luce dei più recenti sviluppi della green economy, dell’economia dello sviluppo sostenibile, della circular economy e della bioeconomia.
La Terra e il cambiamento climatico
I cambiamenti climatici possono essere definiti come una variazione all’interno del sistema ambientale. Tale variazione si verifica quando l’equilibrio alla base del sistema viene meno e cioè quando l’energia in entrata non eguaglia più l’energia in uscita. La suddetta variazione, quindi, si traduce in un incremento medio della temperatura terrestre ad opera dei gas ad effetto serra.
La Convenzione Quadro sul Cambiamento Climatico delle Nazioni Unite (UNFCCC) definisce il cambiamento climatico come un cambiamento del clima che sia attribuibile direttamente o indirettamente ad attività umane che alterino la composizione dell’atmosfera planetaria e che si sommino alla naturale variabilità climatica osservata su intervalli di tempo analoghi. Tale definizione racchiude al suo interno due concetti fondamentali: la naturale variabilità climatica connessa ai complessi processi naturali esterni (cicli del sole e dell’orbita terrestre) e interni al pianeta (interazioni tra le unità geofisiche dell’atmosfera, dell’idrosfera, della criosfera, della terra solida e della biosfera); l’alterazione di tale complessa variabilità naturale attribuibile alle attività umane (antroposfera). Il pianeta Terra, nel corso della sua lunga storia geologica, ha attraversato diverse fasi di cambiamento climatico, le quali hanno determinato l’alternanza di periodi glaciali e periodi interglaciali. Tali cambiamenti si sono sempre verificati a causa di fattori naturali, come la variazione nell’inclinazione dell’asse terrestre, le variazioni nell’eccentricità dell’orbita e la precessione degli equinozi, e si sono sempre attuati in migliaia di anni, permettendo così alle diverse specie animali e vegetali di adattarsi alle nuove condizioni ambientali. Il cambiamento climatico, quindi, non rappresenta assolutamente una novità per il Pianeta. L’attuale fase di riscaldamento climatico che sta caratterizzando la Terra, invece, desta preoccupazione e allarme a causa dell’estrema velocità del processo in atto (Fig. 1).
Il clima della Terra sta cambiando e gli effetti sono visibili anche, spesso in misura accentuata, nell’ambiente urbano a causa della concomitanza di pressioni diverse: aumento delle temperature, modifica dei regimi delle precipitazioni e aumento degli eventi climatici estremi (IPCC, 2014). Anche l’esposizione ai rischi derivanti dai cambiamenti climatici è molto elevata nelle aree urbane a causa della concentrazione di persone e di assetti economici produttivi (EEA, 2016). Gli ecosistemi urbani rappresentano l’ambito più a rischio per le conseguenze dei cambiamenti climatici. Le città sono, quindi, i luoghi in cui si evidenziano maggiormente detti problemi, ma anche aree in cui più efficacemente si possono individuare e sperimentare soluzioni su larga scala.
L’ambiente urbano
Nel mondo, le città occupano appena il 2% della superficie terrestre, ma ospitano la metà della popolazione mondiale. Attualmente, in Europa il 75% della popolazione vive nelle città, luoghi in cui il consumo energetico rappresenta il 69% del totale dell’intero continente con evidente produzione della maggior parte delle emissioni di gas a effetto serra. Il confine della città contemporanea non è più limitato da una solida cinta muraria o dalla fine del tessuto continuo delle costruzioni ma si integra e si estende in un sistema territoriale più vasto e complesso che include sia i centri minori collocati in prossimità alla città stessa, sia il territorio intermedio rurale che viene urbanizzato con insediamenti sparsi a bassa densità.
Con il termine ecosistema urbano si indica la città intesa come un sistema ecologico con associati flussi di energia e di materiali.
Una città è, quindi, un esempio di ecosistema antropico caratterizzato da una componente artificiale decisamente predominante rispetto a quella naturale.
Gli ecosistemi urbani sono anch’essi sistemi termodinamici, dissipativi, aperti, in condizioni di non equilibrio ma, a differenza di quelli naturali, sono eterotrofi, incompleti, dipendenti da aree limitrofe, più o meno vicine per quanto riguarda acqua, energia, cibo e altri materiali. La città essendo sede di numerose e diversificate attività antropiche è sorgente di vari inquinanti atmosferici. Il sistema urbano è contraddistinto da una grande complessità strutturale e funzionale dovuta alla presenza di componenti socioeconomiche, storiche, artistiche e naturali tra loro interconnesse. L’ambiente urbano è caratterizzato per la maggior parte della sua estensione da:
∙ una complessa geometria della struttura urbana;
∙ superfici asfaltate, impermeabili e edificate aventi proprietà termiche elevate; ∙ una riduzione delle superfici evaporanti come gli specchi d’acqua, la vegetazione, i suoli umidi o bagnati, ecc…;
∙ un livello molto elevato di emissioni;
∙ un input elevato di materia spesso molto maggiore rispetto al fabbisogno della popolazione; ∙ un cospicuo output di rifiuti;
∙ un elevato consumo di suolo che causa lo scorrimento rapido delle acque meteoriche in superficie e l’instaurarsi di fenomeni di rischio idrogeologico come ad esempio allagamenti e inondazioni;
∙ una riduzione di spazi permeabili
Gli impatti del cambiamento climatico
I cambiamenti climatici possono avere impatti importanti su molti settori della società come la gestione delle risorse idriche, l’agricoltura, la salute umana, le zone costiere, le infrastrutture, la gestione degli ecosistemi, ecc….
Un aspetto cruciale da considerare è l’asimmetria degli effetti dei cambiamenti climatici: i paesi situati alle latitudini medio - basse che sono anche quelli più poveri e vulnerabili, risultano più esposti al cambiamento e con una minor capacità adattativa. Il cambiamento climatico, quindi, accentua ed incrementa il divario tra il nord e il sud del pianeta.
Inoltre, in un mondo globalizzato, quello che avviene in una regione può avere ripercussioni globali, ad esempio gli incrementi di siccità in una zona agricola possono influenzare la produzione di determinati raccolti ed eventualmente i mercati globali.
Il riscaldamento della Terra determina lo scioglimento della criosfera, l’innalzamento del livello dei mari, l’acidificazione degli oceani, la desertificazione, la perdita di biodiversità, il deterioramento della qualità dell’acqua, la progressiva carenza di risorse idriche, la diminuzione della precipitazione annua, la diminuzione del deflusso fluviale, l’incremento dei fenomeni di dissesto idrogeologici e degli incendi boschivi, la diminuzione delle rese colturali, il maggior numero di decessi per ondate di calore, l’incremento delle malattie legate allo spostamento su scala geografica di persone, animali e merci (Tabella 1).
I cambiamenti climatici, infatti, causano effetti sia diretti sia indiretti sulla salute umana e sugli animali. Gli effetti diretti provocano o favoriscono la diffusione di patologie prevalentemente legate ad alterazioni dell'omeostasi e della fisiopatologia. Dal punto di vista zootecnico e veterinario, invece, si sono evidenziate variazioni nella qualità e quantità delle produzioni animali.
Gli effetti indiretti sono correlati alle trasformazioni degli ecosistemi e della distribuzione della biodiversità provocati dal clima e possono determinare focolai epidemici o pandemie, soprattutto nelle aree urbane, per malattie precedentemente confinate in territori a distanza dai principali insediamenti umani.
L’innalzamento della temperatura, le correnti transfrontaliere e altre variabili meteorologiche causano un incremento del numero delle specie (nuove e infestanti), della distribuzione temporale (anticipo fioriture) e di conseguenza, della distribuzione geografica di allergeni, influenzando la durata stagionale delle allergie e il rischio di nuove sensibilizzazioni tra la popolazione.
Nelle giornate ventose le tempeste polliniche e le sinergie con gli inquinanti atmosferici come O3, PM10, NOx possono concorrere all’aumento del numero di crisi asmatiche specie nelle aree urbane. L’incremento delle concentrazioni di CO2 ed NO2 è associato anche ad un aumento di sporulazione fungina. Per quanto sopra menzionato, si evidenzia che alcune spore fungine (ad es. Alternaria, Epicocco, Cladosporium, Aspergillus, Penicillum, ecc.) possono causare manifestazioni allergiche ed essere responsabili di patologie nei vegetali, rendendo necessari trattamenti chimici supplementari che aumentano il rischio di contaminazione di derrate e raccolti destinati al consumo umano.
Alcuni inquinanti atmosferici come l’ozono, l’ossido nitrico, l’anidride carbonica e il particolato derivato da traffico veicolare sono in grado di indurre nei pollini un aumento nella espressione di proteine allergeniche o di sostanze dotate di attività immuno-modulatoria; tale attività è enfatizzata da stress climatici come disidratazione o repentine variazioni di temperatura e pressione atmosferica.
L’innalzamento del livello del mare originerà un notevole impatto sulle zone costiere in quanto determinerà inondazioni intense, erosione costiera, mareggiate e l’incremento di intrusione salina. La riduzione delle precipitazioni associata con l’aumento del livello del mare causerà una diminuzione del volume utilizzabile di acqua.
L’innalzamento di temperatura degli strati superficiali del mare determina un incremento della differenza termica rispetto agli strati profondi. La stratificazione verticale più marcata e profonda causa una ventilazione ridotta e l’instaurarsi di condizioni di anossia. La variazione del regime termico delle acque modifica le comunità ittiche: le specie ad affinità calda sono in espansione, mentre quelle fredde sono in netta contrazione. Sulla base dell’optimum termico delle specie e degli scenari di cambiamento della temperatura superficiale si prevede che gran parte dei pesci costieri sposteranno l’areale di distribuzione di circa 70 Km verso nord o in acque profonde.
L’impatto del cambiamento climatico sul rischio geologico, idrologico ed idraulico si estrinseca principalmente attraverso il cambiamento delle temperature e del regime delle precipitazioni, che si verifica con modalità fortemente variabili nello spazio e nel tempo ed è influenzato da condizioni sia naturali e sia antropiche locali.
Lo scioglimento del permafrost potrà avere effetti su colate detritiche e frane superficiali. Inoltre, lo
scioglimento dei ghiacciai contribuisce all’innalzamento del livello del mare.
L’alterazione del ciclo idrologico, ovvero la trasformazione dei regimi pluvio-nivali in regimi pluviali, determinerà una diminuzione del deflusso annuo alle latitudini appartenenti al bacino del Mediterraneo con la riduzione talora consistente del deflusso nelle stagioni primaverili ed estive, più accentuata alle latitudini inferiori, in conseguenza del minore apporto dello scioglimento nivale e dell’accresciuta dipendenza del deflusso fluviale dalle piogge. Il cambiamento climatico ed i suoi effetti sulla disponibilità di risorse idriche potranno produrre una maggiore vulnerabilità degli acquiferi nelle regioni alle medie e basse latitudini dell’emisfero nord fino alla fascia sub-equatoriale. Tale vulnerabilità avrà delle implicazioni sull’esaurimento dell’acquifero e sul rischio di un suo progressivo inquinamento causato sia dall’intrusione del cuneo salino nelle zone costiere e sia dal peggioramento del rapporto di diluizione tra acqua ed inquinanti derivanti dalle attività industriali e agricole.
L’incremento della temperatura, associato ad una diminuzione delle precipitazioni, determinerà l’innalzamento altimetrico della fascia a rischio incendio boschivo, che sinora in estate colpiva prevalentemente le aree sotto i 1.000 metri di quota, interessando le fasce montane e le regioni settentrionali. Attualmente, la maggiore siccità rischia di far arrivare gli incendi, in estate e nelle regioni meridionali, ben oltre i 1.300 metri sul livello del mare, con il pericolo concreto che vadano in fumo enormi superfici boschive e boschi vetusti nel sud Italia. Il suolo denudato a seguito di un incendio boschivo, in particolare in concomitanza con le intense precipitazioni che di norma caratterizzano i giorni di fine estate - inizio autunno, diviene maggiormente a rischio di dissesto idrogeologico.
Il rischio climatico nelle città italiane
Le città sono nate per unire le persone e per originare delle comunità. La crescita incontrollata degli ultimi secoli ha snaturato tale funzione originaria tramutando le città in ambienti caotici, disconnessi e privi di identità.
La configurazione di una città, invece, dovrebbe essere studiata con attenzione poiché non può essere modificata o “corretta” in tempi brevi.
Le città, pur essendo tutte diverse, sono accomunate da progressivo incremento del consumo di suolo, densità dei degradi, scarso investimento in dotazioni infrastrutturali, radicalizzazione di sistemi di mobilità sostanzialmente affidati al trasporto privato su gomma ed esposizione ai rischi indotti dai cambiamenti climatici.
L’effetto più noto dell’urbanizzazione sul clima locale è rappresentato dall’isola di calore (Fig. 2). Con il termine isola di calore si intende la differenza di temperatura tra un’area urbana (più calda) e le aree rurali che la circondano. L’isola di calore, quindi, determina un aumento della temperatura dell’aria spostandosi dalle aree rurali al centro di una città. Si stima che tra le aree urbane e quelle rurali ci siano tra gli 0.5°C e i 3°C di differenza. I fenomeni temporaleschi sono del 10 - 15% maggiori rispetto alle zone rurali a causa della maggiore quantità di calore a disposizione nei moti convettivi.
L’intensità massima di isola di calore si verifica in condizioni anticicloniche con cielo sereno nelle prime ore dopo il tramonto del sole. L’intensità minima, invece, si ottiene in condizioni meteorologiche di forte vento e tempesta. In condizioni anticicloniche e in estate l’isola di calore contribuisce negativamente alla formazione di elevate concentrazioni di ozono al suolo su tutta l’area urbana.
Il 70% circa del patrimonio edilizio italiano ha almeno 40 anni e in buona parte, a causa dell’utilizzo di tecniche costruttive, della vetustà degli impianti e delle condizioni precarie, richiede interventi di manutenzione e di riqualificazione, di miglioramento dell’efficienza energetica e di riduzione della vulnerabilità rispetto ai rischi idrogeologici e sismici. Inoltre, una buona parte di tale patrimonio è dismesso, degradato o soggetto a vincolo, ma non esente da necessità di interventi di riqualificazione, di miglioramento funzionale, energetico e sismico.
Le città, inoltre, sono caratterizzate da un elevato rischio idrogeologico determinato dalle precipitazioni molto intense, concentrate in brevi periodi e accompagnate da forti venti.
L’Italia, infatti, è un paese ad elevato rischio idrogeologico: 7.145 sono i comuni che hanno almeno un’area classificata ad elevato rischio. I dati relativi agli eventi alluvionali occorsi nei centri urbani individuano i sottopassi (ad es. ponti ferroviari e rilevati stradali) come uno dei punti più pericolosi dell’assetto idrogeologico in quanto causano deficit di funzionamento dal punto di vista della capacità di smaltimento delle acque durante le piene improvvise.
L’assetto idrogeologico urbano è, inoltre, influenzato dal pessimo stato di manutenzione delle opere idrauliche, dagli alvei impermeabilizzati e/o con flusso ristretto. Le reti idriche di molte città, infatti, sono vetuste e caratterizzate da un’elevata dispersione di acqua. La maggior parte delle città non riceve una regolare e sufficiente fornitura di acqua potabile, mentre altre non dispongono di adeguati sistemi di fognatura e depurazione e, infine, pochissime effettuano la raccolta separata, il trattamento ed il recupero delle acque meteoriche.
Le città, inoltre, sono interessate da fenomeni di esondazione determinati da una non adeguata ampiezza delle sezioni di deflusso di alcuni corsi d’acqua che la attraversano.
Infine, la realizzazione di edifici, strade e parcheggi impedisce alla pioggia di ricaricare le falde acquifere. Conclusioni: la città del futuro
Il clima sta cambiando, i fenomeni metereologici estremi aumentano e a soffrirne di più sono soprattutto le grandi città non in linea con le strategie di adattamento per limitare gli effetti dei cambiamenti climatici.
Il bilancio del carbonio implica che, per limitare il riscaldamento, è necessaria la neutralità carbonica mondiale, unitamente ad un’intensa azione contro la deforestazione e le cause del degrado del suolo. Non è continuando ad intubare, limitare o deviare il corso dei fiumi, ad alzare argini o ad impermeabilizzare altre aree urbane che possiamo dare risposta ad equilibri climatici ed ecologici complessi che hanno bisogno di analisi nuove e moderni programmi di adattamento.
Pertanto, non si può prescindere dal rendere tempestivamente operative le seguenti attività: monitorare costantemente il territorio e tutelare le zone già sottoposte a vincolo idrogeologico e paesaggistico per evitare l’insediamento di nuovi elementi a rischio in aree allagabili; rispettare il principio di invarianza idraulica; introdurre la chiave dell’adattamento climatico nella pianificazione di bacino e negli interventi di messa in sicurezza dei fiumi nelle aree urbane; approvare piani di monitoraggio e tutela degli ecosistemi più sensibili ai cambiamenti climatici sul territorio; approvare linee guida per l’utilizzo di materiali e tecniche di costruzione in grado di ridurre l’impatto ambientale rispetto ai cambiamenti climatici; subordinare al vincolo di inedificabilità le aree ancora libere dalla edificazione come quelle agricole, incolte e naturali.
Inoltre, per contrastare il calore latente presente nelle città occorre convertire, ovunque possibile, le superfici asfaltate con quelle erbose o semi vegetate, sostituire il colore delle superfici verticali con colori freddi, creare o migliorare i corridoi ecologici tra le aree urbane e quelle periurbane, promuovendo la forestazione urbana, preservare le zone verdi e le zone umide esistenti.
Per ridurre l’impatto di siccità e inondazioni occorre ristabilire nelle città i flussi naturali dell’acqua in quanto l’acqua è una risorsa da proteggere e il suo utilizzo include sistemi di raccolta, trattamento e riciclaggio. Infatti, occorre restituire alle aree urbanizzate la capacità di laminare ed infiltrare l’acqua di pioggia attraverso i sistemi urbani di drenaggio sostenibili (SUDS) come le vasche d’acqua, i giardini verdi, gli stagni e le aree di ritenzione vegetata.
Le infrastrutture, quindi, dovranno essere realizzate in modo da consentire all’acqua di percolare nel terreno per alimentare la falda freatica.
È necessario, altresì, un adeguamento gestionale e tecnico delle infrastrutture idrauliche al mutare delle condizioni climatiche e demografiche al fine di ridurre la dispersione nelle reti di distribuzione.
La possibilità di edificare nelle aree costiere, a causa dell’innalzamento del livello del mare e, del conseguente, incremento del rischio di alluvioni, dovrebbe essere vietato.
Le nuove costruzioni dovrebbero essere in gran parte modulari e con facciate verdi, giardini pensili, orti verticali o tetti verdi (ad es. Torino, Milano e Bologna). Infine, occorre agevolare ed incentivare il recupero di aree dismesse e degradate ed imporre dei limiti quantitativi di superfici libere trasformabili in aree urbane.
Si rileva la necessità di potenziare nelle città le iniziative degli orti urbani, dell’agricoltura sostenibile, della filiera corta periurbana, delle fattorie didattiche e dell’agricoltura sociale promuovendo l’utilizzo di fertilizzanti naturali come il compost.
Per incentivare la mobilità sostenibile occorre realizzare un quadro analitico della mobilità nella città e della sua evoluzione, definire una strategia a lungo termine e implementare un piano per la mobilità sostenibile; estendere le zone pedonalizzate e limitate alla circolazione dei mezzi pubblici e quelle a velocità ridotta o con accessi a pagamento; ridurre gli spostamenti incentivando lo smart working; aumentare i parcheggi di scambio nelle città; estendere le reti di percorsi ciclabili e pedonali tramite infrastrutture lineari già esistenti e di nuova realizzazione che mettano a sistema aree pedonali, spazi di sosta per le biciclette, bikesharing e nodi di scambio intermodali; favorire il modal shift con sistemi di integrazione modale e tariffaria; rafforzare le diverse modalità di trasporto collettivo urbano e metropolitano e di sharing mobility.
La città dovrebbero essere un telaio di spazi pubblici di qualità paesaggistica per l’identità, la vita sociale e la sicurezza dei territori e delle comunità. Le città devono essere composte da quartieri compatti, con isolati piccoli, precorribili a piedi e serviti da una rete di trasporto pubblico capillare e veloce.
Le città dovrebbero essere costituite da una rete strutturale e funzionale di sistemi naturali e semi – naturali capaci con i propri servizi d migliorare la qualità della vita e la resilienza delle città (ad es. la mitigazione dell’isola di calore, la capacità di drenaggio delle acque meteoriche, la tutela della biodiversità, ecc..).
Le reti strutturali presenti nelle città devono essere rappresentate dalle infrastrutture verdi, blu e del riciclo in grado, rispettivamente, di migliorare le condizioni microclimatiche urbane e la qualità dell’aria; di permettere la ritenzione e il riciclo della risorsa idrica, la mitigazione e l’adattamento al rischio idrogeologico; e, infine, di creare delle reti di scarto come le aree dismesse e le matrici inquinate da bonificare e ri-naturare per usi collettivi.
Le città, quindi, dovrebbero nascere dall’idea che lo sviluppo edilizio e le infrastrutture sono complementari e foggiati sull’ecologia, per far sì che la natura si rigeneri e sia in grado di sostenere le popolazioni urbane in rapida crescita.
Ilaria Falconi